4 Ottobre 2021 / Humus Job / Rete

SOSTENIBILITÀ ECONOMICA E SOCIALE IN AGRICOLTURA

Queste due domande hanno guidato il webtalk organizzato da Humus Job che si è tenuto giovedì 29 luglio, in diretta Facebook e Youtube.

Humus Job non è soltanto una rete di aziende etiche che promuove e pratica la condivisione come mezzo per ottimizzare i costi gestionali delle imprese, aumentare la sostenibilità economica delle stesse e, a cascata, accrescere anche quella sociale perché la sostenibilità economica può generare condizioni favorevoli per contrastare il lavoro irregolare in agricoltura e le derive di sfruttamento e caporalato. 

Humus Job, infatti, è anche un progetto che mira a sensibilizzare i consumatori – anche attraverso questo Magazine e la Community Agrorà – e creare connessioni con professionisti, con altre realtà nazionali che condividono gli stessi valori, fare cultura e riflettere insieme sui temi della collaborazione, dell’agro-ecologia, di modelli alternativi e maggiormente sostenibili per l’agricoltura.

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Gli avevamo chiesto di aprire le danze fornendo una cornice di senso sul tema della sostenibilità declinando quelle economica, sociale e ambientale come elementi che possono essere interconnessi piuttosto che escludersi o contrapporsi.

Professore al Politecnico di Milano e Direttore di Tiresia, Centro Internazionale di ricerca per la finanza a impatto e per l’innovazione, Mario Calderini è considerato in Italia il massimo esperto di innovazione sociale, economia e finanza a impatto sociale.

Introducendo la – virtuale – tavola rotonda, il Professor Calderini ha portato stimoli interessanti per la riflessione successiva: in modo puntuale ma anche provocatorio e critico, ha ragionato sul ruolo dell’economia tradizionale rispetto al tema della sostenibilità e sulla necessità che la prima prenda nuove strade, sostenibili a livello ambientale e sociale, pur restando all’interno dell’economia di mercato e ampliando la riflessione sulla finanza a impatto per rendere anche l’economia maggiormente sostenibile.

“Siamo alla fine del primo tempo della partita della sostenibilità. Ora in gioco c’è quale significato metteremo dentro le parole sostenibilità e impatto.”
E’ con queste parole che ha esordito il Prof. Calderini.

Come per molte altre parole in uso al giorno d’oggi, anche per i termini sostenibilità e impatto, infatti, il rischio che se ne faccia un uso improprio, o che vengano svuotate di senso, è dietro l’angolo. Così svuotato di senso che sono sempre più numerose le realtà che usano la sostenibilità sociale o ambientale per ripulire la propria facciata (greenwashing / social washing).
Infatti, come dice il Professor Calderini, non basta usare questi termini bensì è necessario costruire e usare modelli intenzionali, misurabili e addizionabili perché si possano realmente integrare obiettivi di sostenibilità ambientale e di inclusione sociale all’interno di un’impresa che mira anche a essere sostenibile economicamente.

Appare sempre più evidente come il tema dell’impatto sociale e ambientale sia salito molto in alto nell’agenda politica e collettiva e questa tendenza, dice il Professor Calderini, deve farci interrogare su cosa stia avvenendo nel nostro Paese e fuori dai nostri confini nazionali, quali siano gli scenari possibili di un simile trend e quali le ragioni profonde che spingono in questa direzione.

Fino a qualche tempo fa, sembrava fosse il tema dell’ambiente e dei cambiamenti climatici a interrogare anche il mondo industriale e finanziario; sembra meno evidente, invece, che i modelli di sviluppo intraprese avrebbero portato, in termini di diseguaglianza, a una non sostenibilità sociale. A seguito di queste “prese di coscienza” – più o meno disinteressate – si sta ponendo al centro del dibattito un modo di fare impresa e finanza basato su un’intenzionale ricerca di un impatto sociale e ambientale insieme a profitti e rendimenti, talvolta moderando questi ultimi. 

Il modello della Impact Economy che ne deriva, ha spiegato il Professore durante il suo intervento, porta con sé la necessità di una trasformazione radicale che pone almeno due grandi sfide politiche: l’iniziativa privata prende in carico i grandi problemi sociali, le politiche pubbliche di welfare tradizionali sono arretrate e questo nuovo paradigma nasce senza che ci sia ancora un’idea chiara di giustizia sociale ed economica, la prima; crescita economica e contrasto delle diseguaglianze non possono essere affidate a un’unica agenda riformista di innovazione inclusiva, la seconda sfida. Nell’ottica di queste sfide, l’economia di impatto, può essere – secondo il Professor Calderini – una grande opportunità di sviluppo virtuoso: da questa prospettiva, le sfide per ridurre le disuguaglianze, lo svantaggio e l’esclusione, possono diventare infatti un’opportunità per trasformare modelli di impresa e di innovazione.

Ma perché ciò possa realmente avvenire, ci dice Mario Calderini, è necessario che l’impresa si basi su modelli intenzionali, misurabili e addizionabili.
Un modello è intenzionale quando l’impatto sociale è ricercato intenzionalmente “e l’investimento viene dichiaratamente effettuato con lo scopo di perseguire un risultato positivo per la comunità”. L’impatto sociale deve essere dichiarato “ex ante”, non a cose fatte per giustificare qualcosa.

© Humus Job

Gli impatti sociali che si intendono generare devono poi essere misurabili: gli obiettivi sociali devono essere dichiarati e misurati per poter definire – prima – gli impatti attesi; e questi, ex post, devono essere verificati per dimostrare che siano stati effettivamente ed efficacemente raggiunti.
Infine, gli investimenti ad impatto sociale “dovrebbero intervenire in aree sottocapitalizzate, ovvero in quelle attività che verrebbero altrimenti escluse da qualsiasi altro investitore”. E l’imprenditore che punta sulla sostenibilità sociale della propria azienda deve anche considerare una buona dose di rischio sbilanciandolo a favore dell’impatto sociale rispetto al rendimento economico.

 

Abbiamo dato la parola a Silvia Bergamo, Consigliera di Amministrazione di Altromercato, che ha raccontato l’esperienza della principale realtà di Commercio Equo e Solidale italiana, nonché una tra le più grandi al mondo. 
Altromercato è una Impresa Sociale formata da 94 Soci e 225 Botteghe, gestisce rapporti con 140 organizzazioni di produttori in oltre 40 paesi, nel Sud e nel Nord del mondo. Il lavoro di centinaia di migliaia di artigiani e contadini viene rispettato ed equamente retribuito, perché si basa su una filiera trasparente e tracciabile, che tutela i produttori, l’ambiente e garantisce la qualità dei prodotti.

Altromercato propone prodotti che hanno una caratteristica comune: sono buoni per chi li sceglie e per chi li produce. Con Altromercato si alimenta un’economia sana, un circolo virtuoso – dal produttore al consumatore – che dura da trent’anni, uno stile di vita sostenibile per tutti.

Da una realtà nazionale come Altromercato, il viaggio tra le realtà che coniugano sostenibilità economica e sociale è poi partito dal Piemonte e, passando per il Lazio, ha raggiunto l’estremo sud, arrivando in Puglia.

Maurizio Bergia, Presidente de I Tesori della Terra, Cooperativa agricola e sociale del cuneese, ha raccontato l’esperienza di una realtà attiva da 35 anni che della condivisione, dei metodi di coltivazione naturale e del rispetto della dignità dei lavoratori ha fatto il proprio manifesto. Il modello di impresa de I Tesori della Terra riesce dunque a coniugare le necessità della produzione con i bisogni dell’essere umano, preservando la terra. I Tesori della Terra facevano biologico prima che esistessero le certificazioni e si occupava di inclusione sociale prima che questo tema diventasse elemento di spicco dell’agenda politica. 

Da Cuneo ci siamo spostati a Roma per dare la parola a Cheick Diop, Co-Fondatore di Barikamà, che ha raccontato un interessante progetto di micro-reddito nato nel 2011 per generare inserimenti lavorativi e sociali attraverso la produzione e la vendita di yogurt e ortaggi.

Barikamà è un’Associazione di Promozione Sociale e una Cooperativa Sociale fondate da lavoratori africani che, dopo aver subito sulla propria pelle lo sfruttamento dei braccianti agricoli e aver partecipato alle rivolte di Rosarno del 2010, hanno deciso di resistere (Barikamà, in lingua Bambarà, significa Resistente) creando un’impresa sostenibile economicamente e con un forte impatto sociale.

Abbiamo terminato il viaggio in Puglia, a Cerignola (FG) con Pietro Fragasso, Presidente della Cooperativa Pietra di Scarto. Gli abbiamo chiesto di raccontare l’esperienza della Cooperativa Pietra di Scarto, nata nel 1996 nelle terre di Giuseppe Di Vittorio, delle rivolte bracciantili e della mafia foggiana.

Un’esperienza germogliata su un bene confiscato alla mafia che cresce grazie all’impegno dei suoi soci che, quotidianamente, operano per la promozione della giustizia sociale ed economica attraverso la pratica di un’agricoltura sostenibile, il commercio equo e solidale, la promozione del consumo critico e l’educazione alla legalità.

Pietro ci ha raccontato la Pietra di Scarto e tutti i progetti che hanno in cantiere ma ha fatto molto di più e, come per gli interventi di tutti gli ospiti prima di lui, ha portato ulteriori riflessioni, molto stimolanti, attivate dagli input del Professor Calderini (guarda il video dell’evento).

Silvia Bergamo ci ha riportati agli anni in cui è nato Altromercato e agli ideali che muovevano dal Global Social Forum di Porto Alegre. Maurizio Bergia ha ricollocato il tema dell’inclusione sociale dentro le dinamiche di condivisione e collaborazione. Cheikh Diop ha portato uno sguardo diverso sul mondo imprenditoriale e su quanto il concetto di sostenibilità economica possa essere molto relativo: per i Barikamà è più sostenibile guadagnare meno ma vivere liberi e non più sfruttati. Infine, Pietro Fragasso ha animato le passioni di chi era in ascolto rilanciando l’importanza di restituire alla collettività i beni confiscati alla mafia.

© Humus Job

A conclusione dell’evento, Claudio Naviglia, CEO di Humus Job, ha declinato il tema dell’evento – prendendo spunto anche lui dagli interventi precedenti – raccontando ciò che facciamo noi e sottolineando quanto i principi di reciprocità, antispreco e relazione siano elementi imprescindibili per affrontare le sfide della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

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