26 Luglio 2021 / Humus Job / Rete

Vuoi aprire un’azienda agricola?

Luca da due anni è responsabile della gestione clienti in Humus Job. E’ arrivato a questo lavoro passando per il mondo dell’agricoltura e, prima ancora, per una formazione e una lunga esperienza come educatore. Un percorso interessante che connette il mondo del sociale a quello dei campi e che vede oggi una bella sintesi nell’avventura di Humus Job.

La sua esperienza come azienda agricola, e con ciò che ha comportato prima e dopo averla aperta, è uno dei motivi per cui ricopre il ruolo di contatto con le aziende agricole e gestione dei rapporti con queste.

Conosce le difficoltà e i punti di forza di questo lavoro, parla lo stesso linguaggio degli agricoltori e sa quanto è bassa la terra ma anche quante soddisfazioni generi.

Abbiamo deciso di scrivere della sua esperienza perché, nel nostro lavoro, spesso ci troviamo a raccogliere domande non solo di chi già è dentro il mondo dell’agricoltura ma anche di chi annusa l’aria dei campi e vorrebbe immergersi in un’avventura agricola ma ha, giustamente, degli interrogativi e cerca risposte che non sempre si trovano sui manuali del buon agricoltore.

E così oggi ci immergiamo nella storia di Luca per provare a rispondere ad alcuni interrogativi che la terra – e il lavoro della terra – smuovono e lo facciamo attraverso il suo sguardo e la sua storia.

© Paolo Saglia

“Circa 8 anni fa, vivevo ancora a Torino con la mia famiglia e stavo lavorando come educatore presso una cooperativa di tipo B, a Ciriè; utilizzando un terreno che la cooperativa aveva in gestione (un vecchio tiro a segno costruito in epoca fascista), abbiamo fatto partire un progetto di agricoltura sociale in cui persone segnalate dai servizi o dall’Asl potevano coltivare la terra, fare l’orto e queste attività avevano una valenza terapeutica. 

E’ da lì che è iniziato il mio percorso agricolo…. mi sono accorto di quanto mi piacesse veder crescere le piante, prendermi cura di loro e del suolo. Finita dopo due anni questa esperienza, abbiamo avuto l’occasione di ristrutturare la casa di famiglia della mia (ai tempi) compagna Marina, a Bernezzo, in provincia di Cuneo; siamo sempre stati attratti dall’idea di andare a vivere fuori Torino, e con due bimbi e un terzo in cantiere abbiamo pensato che fosse arrivato il momento giusto.  Quindi essendo entrambi interessati al concetto di sostenibilità sotto diversi punti di vista abbiamo pensato che il passo verso un’azienda agricola potesse essere quello giusto.

Nel frattempo, nell’attesa che finissero i lavori alla casa, ho lavorato ancora 1 anno e mezzo in un’azienda vicino Pinerolo per incrementare le mie esperienze in agricoltura.”

“La mia azienda, come sede legale era a Bernezzo ma, come spesso succede, i terreni non erano tutti vicini né tutti a corpo. Uno dei problemi maggiori per le aziende, infatti, è proprio il frazionamento dei terreni, uno qui e uno là, magari tutti distanti tra loro e distanti da dove sono i macchinari.

L’azienda aveva una superficie di circa 4 ettari divisi in 6 particelle diverse e su questi terreni producevamo principalmente ortaggi, sia in serra che in pieno campo, e su l’appezzamento più distante tendenzialmente rotazioni di cereali e leguminose.

L’approccio che utilizzavo era ovviamente quello più naturale possibile: minimo numero di trattamenti, concimazioni organiche o se possibile anche nulle e lavorare principalmente con una attenta rotazione colturale. Rispetto alle lavorazioni del terreno, proprio per rispettarlo, ho sempre solo fatto lavorazioni superficiali e che non scombussolassero il primo strato di suolo, quello più fertile solitamente. E con le erbe infestanti… diciamo che ci convivevamo.
A coltivare ero principalmente io, e per i primi due anni, in alcuni momenti, Marina mi ha dato una mano… ma diciamo che principalmente ero solo io ad occuparmi dell’azienda.”

“Sicuramente il fatto di venire da una realtà diversa da quella agricola ha inciso molto nei primi momenti e nelle prime scelte; arrivano tutti a darti consigli e ognuno la vede a modo proprio. Se non hai una grande conoscenza di questo settore, necessaria per poter capire quali siano le scelte aziendali giuste da fare, sicuramente fai un sacco di errori che vuol dire anche perdere soldi e tempo.

Un’altra difficoltà è l’investimento economico: per poter aprire un’azienda agricola ci vuole un considerevole investimento iniziale, che bisogna razionalizzare al meglio possibile per evitare di comprare cose inutile o che credi utili ma poi non sono funzionali o realmente necessarie.”

© Paolo Saglia

“Sì, ero certificato Bio, e sicuramente esserlo può avere i suoi vantaggi. Ma anche il contrario. Tutto dipende fondamentalmente dal mercato che vuoi approcciare, ingrosso, vendita diretta in azienda o al mercato. Per me, che facevo sia vendita diretta che a qualche grossista, era sicuramente un valore aggiunto.

Diciamo che aggiunge una parte burocratica notevole, ha il suo costo e quindi è una scelta che va ponderata; sicuramente se riesci a creare un rapporto di fiducia e trasparenza con i tuoi consumatori, magari coinvolgendoli anche in momenti specifici all’interno dell’azienda, credo possa essere una spesa evitabile e una strada che non è necessario percorrere perché il tuo marchio sei tu e il consumatore può verificarlo sul campo e nella relazione con te; ma se la tua produzione va a qualche grossista o negozio che tratta bio è una strada imprescindibile. La cosa importante non è la certificazione ma la serietà e la coscienza con cui si fa bio, perché ci si può certificare, ma anche farlo senza la vera attenzione che il suolo e le piante necessitano.”

“Quali sono state le difficoltà? Posso rispondere innanzitutto con una parola: tante.

In primis, l’inesperienza che porta a fare errori di calcolo e, di conseguenza, a difficoltà di produzione.

Un’altra grande difficoltà riguarda la marginalità: in agricoltura hai costi alti e una resa economica bassa. Prima di iniziare a fare il coltivatore diretto non immaginavo quante ore e quanta fatica comportasse produrre in quantità significativa un prodotto agricolo; quello che può demoralizzare è il rapporto fra lavoro e resa economica del prodotto agricolo.”

© Paolo Saglia

“In tutto questo, forse la difficoltà più grande che ho avuto è stata il senso di solitudine che può darti il lavoro in un’azienda agricola, ma non in senso semplicemente materiale, soprattutto in un senso più sistemico legato a diversi aspetti della vita personale. 

Mi spiego: quando lavori da solo devi fare i conti con la difficoltà di organizzazione nel lavoro; finché non provi sulla tua pelle a essere autonomo nel lavoro, non capisci bene quali siano i problemi e i tuoi limiti: il lavoro nei campi, soprattutto se sei solo, te li sbatte in faccia senza troppa delicatezza; e infine, ma non meno importante, la difficoltà di equilibrare il lavoro con la vita privata e familiare è pregnante.”

“Detto in maniera poetica, la terra se la tratti bene è generosa… nel senso che approcciandosi alla coltivazione in maniera più naturale possibile la terra risponde di conseguenza… soprattutto in qualità.”

“Sicuramente. 
Un altro punto di forza è l’inesperienza. So che può sembrare strano perché è un elemento che ho citato anche tra le difficoltà, ma a volte la stessa cosa può essere limite o risorsa a seconda della prospettiva con cui la guardi. Intendo l’inesperienza come risorsa perché questa ti permette di partire senza tutti i preconcetti e i limiti che le persone hanno se arrivano già dal mondo agricolo tradizionale, ti lascia la possibilità di sperimentare e di provare strade diverse che non sono quelle classiche.
E a questo discorso si lega un altro punto di forza: la possibilità di incontrare e relazionarsi con persone che hanno il tuo stesso approccio; trovare persone che cercano di andare oltre i soliti limiti tradizionali, del “si è sempre fatto così”, contrasta quel senso di solitudine che può arrivare e che a me personalmente ha colpito perché cercavo di fare le cose in un modo che non era quello che andava per la maggiore.
Ed è stato proprio l’incontro con altre aziende della Valle Grana, con i consorzi di produttori e le realtà che portano avanti valori che condivido, come anche  Humus Job, la risorsa più preziosa che io abbia trovato, nella terra (se vogliamo dirla poeticamente). Con queste realtà – non poche – ho trovato quel senso di condivisione che ti dà la forza per proseguire in un percorso complesso.”

© Paolo Saglia

“Sicuramente l’agricoltura ha la grande possibilità e valore di mettere in connessione le persone con il proprio territorio.”

“Sia in senso ambientale, perché l’agricoltore può essere custode del territorio in cui vive e quindi essere responsabile della conservazione e della crescita del territorio stesso; sia a livello sociale, perché attraverso la produzione e la commercializzazione sul territorio, l’agricoltura può diventare luogo di incontro tra protagonisti diversi della filiera. Filiera che sempre di più è trasversale e che comprende agricoltori, negozianti, lavoratori e consumatori finali.

Quello con le aziende della rete InGrana, e di conseguenza con Humus Job, è stato un incontro fondamentale: il primo mi ha dato la possibilità di connettermi in maniera più radicata con il territorio e iniziare a collaborare fattivamente con realtà vogliose di portare avanti un progetto concreto e sistemico di crescita del territorio; il secondo incontro, quello con Humus Job, mi ha permesso di riconnettermi con il mio passato di lavoratore nel mondo sociale e di unire quelle competenze, in modo particolare nel lavoro con i migranti, con quelle acquisite in agricoltura.”

“Come dici, la mia azienda, ha chiuso
Le esigenze personali e familiari sono state la spinta principale che mi ha portato a fare questa scelta.
E come dici tu, le avventure, in realtà, non finiscono ma prendono forme diverse: infatti, la chiusura dell’azienda ha portato a un’evoluzione interessante e positiva nella mia vita. L’incontro e la collaborazione con Humus Job, mi permettono di portare avanti e sperimentare un approccio diverso al mondo agricolo, in cui si parta dalla logica collaborativa e non più dalla solita logica dell’orticello, tutto per sé.”

“Intendo un modo di pensarsi gli uni separati dagli altri, intendo un modo di fare agricoltura competitivo, in cui ciascuno fa il suo “fregandosene” di cosa succede al di là dei confini del proprio orto, del proprio campo. 

Le difficoltà che ho visto negli anni in cui sono stato coltivatore diretto, affrontate in solitudine, mi avevano spaventato e quella solitudine, sperimentata e faticata, mi fa sentire l’importanza, oggi, di poter essere promotore e facilitatore di processi partecipati, che diano vita a reti di aziende che si supportano l’un l’altra, che siano un sostegno a giovani agricoltori e che riescano a fare da volano per un rilancio sostenibile anche per territori marginali.”

“Lasciando un attimo il romanticismo da parte – per prima cosa consiglierei di pensarci molto bene… Come si può capire da quello che vi ho raccontato, aprire un’azienda e vivere di agricoltura è complesso. Consiglierei anche di non pensare che l’ideale bucolico di vivere a contatto con la natura sia tutto rose e fiori. Fare esperienza, provare realtà diverse, iniziare con piccoli passi in quello che può essere la propria azienda.
Provare poco alla volta e non lanciarsi a bomba in grandi investimenti. E sicuramente, non partire con l’idea che uno da solo riesca a fare tutto, ma provare il più possibile a creare relazioni, collegamenti e sinergie con altre realtà, del territorio o anche più lontane, che condividono valori comuni.
Penso che, con queste accortezze, si riesca più facilmente a tenere connessi il romanticismo del lavoro nei campi al piano di realtà.”

© Paolo Saglia

Rinnovarsi, reinventarsi, connettersi con altri. Relazioni in cui ognuno mette qualcosa di suo e, grazie al confronto, lo trasforma e lo fa crescere.
In questo lavoro le difficoltà ci sono, è innegabile, ma sicuramente vengono compensate dal valore di quello che si fa e dalla ricchezza infinita che arriva dallo scambio umano e con la natura.”

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