Le pratiche agricole, fin dalla preistoria, sono state per millenni sostanziale monopolio delle donne, anche se nelle forme arcaiche del tempo, fino a quando la stanzialità e la divisione professionale del lavoro non ne hanno modificato le caratteristiche strutturali: siamo ormai in epoca storica, nel IV millennio a.C.
Da allora in poi, e fino ai giorni nostri, all’interno della famiglia contadina, le donne, in aggiunta ai lavori interni allo spazio domestico, hanno svolto un ruolo prevalentemente di sostegno e complementare al lavoro maschile, occupate in lavori integrativi e marginali come le attività orticole di sussistenza, l’allevamento degli animali di bassa corte, il lavoro stagionale di raccolta: lavori, in genere, basati su tecnologie più tradizionali e sull’impiego prevalente dell’energia umana. Tale modello di divisione del lavoro è causa di una minore professionalizzazione del lavoro agricolo femminile, di cui un’altra caratteristica è la polivalenza delle funzioni, al contrario dell’univocità dei compiti maschili, che presuppone un riconoscimento di capacità professionali specifiche.
Il quadro non subisce modifiche sostanziali in tutto il periodo storico, fino alla metà del XIX secolo quando l’avvento delle macchine e il superamento dei residui feudali – ancora vivi nelle campagne –favorirono la concentrazione della proprietà terriera, la formazione di estesi latifondi (in particolare al Sud) e la nascita della grande impresa agricola di stampo capitalistico (al Nord), e contribuirono a modificare in profondità il sistema produttivo con riflessi importanti anche sulla conduzione delle imprese agricole e in generale sulla produttività della sua gestione.