La Legge sul Caporalato (n. 199 del 4 novembre 2016), riconosce finalmente la gravità del reato che va a contrastare e ci racconta di lotte per la dignità umana e dei lavoratori, di battaglie sindacali, scioperi e rivendicazione di diritti.
Una legge che nasce direttamente dai campi e racconta le lotte per un mondo del lavoro agricolo più equo.
Il 7 gennaio 2010, infatti, due braccianti agricoli africani venivano assassinati a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro (RC), segnando l’inizio della ribellione, con momenti anche drammatici e violenti: connazionali in protesta, intervento delle forze dell’ordine e reazione degli abitanti.
Un anno dopo, la Cgil (con Fillea e Flai) lanciava la campagna “Stop caporalato” chiedendo al legislatore l’inserimento nel codice penale del reato di caporalato e il perseguimento penale di chi sfrutta e riduce in schiavitù i lavoratori. Nello stesso anno, a Nardò (LE), Yvan Sagnet dava voce e immagine alle proteste dei braccianti agricoli sfruttati: uno studente camerunense del Politecnico di Torino che nelle campagne salentine trovava lavoro per pagarsi gli studi e si scontrava con il fenomeno del caporalato, organizzando il primo grande sciopero dei braccianti agricoli migranti per i diritti dei lavoratori e contro lo sfruttamento. Quello sciopero ha rappresentato la scintilla che ha dato avvio a un’indagine, a un processo e alla “prima condanna per schiavitù in Europa. […]” 2.
Nel frattempo, le campagne dei sindacati hanno trovato l’appoggio di interlocutori politici e il 26 luglio 2011 è stato presentato il disegno di legge 2584 (“Misure volte alla penalizzazione del fenomeno di intermediazione illecita di manodopera basata sullo sfruttamento dell’attività lavorativa”), che prevedeva l’inasprimento di pena per chiunque svolgesse attività di intermediazione della manodopera caratterizzata da sfruttamento, violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità del lavoratore (Legislatura 16ª – Disegno di legge N. 2584).
Arriviamo al 2015: nelle campagne di Latina, protestano circa quattromila braccianti indiani; a San Giorgio Jonico (TA), muore dopo una giornata di lavoro sotto il sole una bracciante italiana (Paola Clemente, 49 anni) e, dopo un mese, in provincia di Matera, un altro lavoratore agricolo (Arcangelo De Marco, 42 anni).
Queste non sono le prime vittime italiane dello sfruttamento.
Già nel 1996 era morta una bracciante di 18 anni (Annamaria Torno) e tante altre ce ne sono state, passate in sordina.
Vittime del caporalato in un periodo storico non ancora maturo, in cui istituzioni, opinione pubblica e sindacati non erano attente a questo fenomeno come nel decennio 2010-2020.