15 Aprile 2021 / Lavoro

Come e perché è nata la legge sul caporalato

400.000 lavoratori agricoli esposti al caporalato di cui l’80% stranieri. 30.000 aziende che ricorrono all’intermediazione illecita e para-mafiosa della manodopera. Il quadro drammatico del Caporalato in Italia.
Il caporalato è ormai – purtroppo e per fortuna – cosa nota a tutti.
Cosa nota, per essere balzato agli onori della cronaca in modo preponderante negli ultimi dieci anni, per la crescita del fenomeno su tutto il territorio nazionale.
Si stima che siano 400.000 i lavoratori esposti al caporalato, l’80% di questi stranieri, e che siano circa 30.000 le aziende che ricorrono all’intermediazione illecita e para-mafiosa della manodopera (Osservatorio Placido Rizzotto 2020).
Per fortuna, perché quando si parla di una problematica significa che questa inizia a essere meno sommersa e balza finalmente all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.
Negli anni precedenti al 2015, sono stati appena una decina gli articoli pubblicati sul tema caporalato; tra il 2015 e il 2016, oltre 2000 1

La Legge sul Caporalato (n. 199 del 4 novembre 2016), riconosce finalmente la gravità del reato che va a contrastare e ci racconta di lotte per la dignità umana e dei lavoratori, di battaglie sindacali, scioperi e rivendicazione di diritti.
Una legge che nasce direttamente dai campi e racconta le lotte per un mondo del lavoro agricolo più equo.
Il 7 gennaio 2010, infatti, due braccianti agricoli africani venivano assassinati a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro (RC), segnando l’inizio della ribellione, con momenti anche drammatici e violenti: connazionali in protesta, intervento delle forze dell’ordine e reazione degli abitanti.
Un anno dopo, la Cgil (con Fillea e Flai) lanciava la campagna “Stop caporalato” chiedendo al legislatore l’inserimento nel codice penale del reato di caporalato e il perseguimento penale di chi sfrutta e riduce in schiavitù i lavoratori. Nello stesso anno, a Nardò (LE), Yvan Sagnet dava voce e immagine alle proteste dei braccianti agricoli sfruttati: uno studente camerunense del Politecnico di Torino che nelle campagne salentine trovava lavoro per pagarsi gli studi e si scontrava con il fenomeno del caporalato, organizzando il primo grande sciopero dei braccianti agricoli migranti per i diritti dei lavoratori e contro lo sfruttamento. Quello sciopero ha rappresentato la scintilla che ha dato avvio a un’indagine, a un processo e alla “prima condanna per schiavitù in Europa. […]” 2.
Nel frattempo, le campagne dei sindacati hanno trovato l’appoggio di interlocutori politici e il 26 luglio 2011 è stato presentato il disegno di legge 2584 (“Misure volte alla penalizzazione del fenomeno di intermediazione illecita di manodopera basata sullo sfruttamento dell’attività lavorativa”), che prevedeva l’inasprimento di pena per chiunque svolgesse attività di intermediazione della manodopera caratterizzata da sfruttamento, violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità del lavoratore (Legislatura 16ª – Disegno di legge N. 2584).
Arriviamo al 2015: nelle campagne di Latina, protestano circa quattromila braccianti indiani; a San Giorgio Jonico (TA), muore dopo una giornata di lavoro sotto il sole una bracciante italiana (Paola Clemente, 49 anni) e, dopo un mese, in provincia di Matera, un altro lavoratore agricolo (Arcangelo De Marco, 42 anni).
Queste non sono le prime vittime italiane dello sfruttamento.
Già nel 1996 era morta una bracciante di 18 anni (Annamaria Torno) e tante altre ce ne sono state, passate in sordina.
Vittime del caporalato in un periodo storico non ancora maturo, in cui istituzioni, opinione pubblica e sindacati non erano attente a questo fenomeno come nel decennio 2010-2020.

© Repertorio

Da un lato i lavoratori e le vittime, dall’altro i caporali e le aziende.
Il caporale è una persona che recluta la manodopera per terzi approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori (per lo più migranti, se pensiamo al settore agricolo) che li pone nella necessità di accettare l’ingaggio a qualunque condizione.
La Legge sul Caporalato, introducendo il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” (art. 603 bis codice penale) ed equiparando caporale e utilizzatore della manodopera, il datore di lavoro, rappresenta un traguardo storico importante per i diritti dei lavoratori agricoli perché stigmatizza in modo indelebile le più diffuse (e spesso socialmente accettate) pratiche di oppressione. 3

La norma individua poi alcuni importanti indicatori della condizione di sfruttamento e di lesione della dignità umana: condizioni disumane di lavoro, nessun accesso all’acqua, salari da fame senza limiti di orario e senza pause, trattenute ingiustificate ed arbitrarie sui compensi, servizi erogati in maniera esclusiva e vincolante (ad esempio l’obbligo di utilizzare e pagare il pullmino o gli alloggi forniti dal datore o dai caporali, in spregio a qualsivoglia minimo criterio di sicurezza ed igiene), minacce e mobbing, se non addirittura violenze gratuite e sfruttamento sessuale.
Prima della Legge 199/2016, il caporalato non era punito con pene particolarmente severe nonostante l’introduzione dei reati di “intermediazione illecita” e “interposizione illecita e fraudolenta” da parte della riforma Biagi del 2003. Inoltre l’applicabilità pratica di tali norme risultava di fatto ostacolata dalla mancanza di un sistema di effettiva protezione del lavoratore che avesse deciso di denunciare.

Affinché il caporalato venisse riconosciuto in Italia come reato sono state dunque necessarie rivolte di braccianti stranieri, campagne di mobilitazione dei lavoratori sfruttati e dei sindacati, l’impegno della politica e, purtroppo, una lista lunga di vittime: molti italiani, nella storia e nel recente passato, la cui morte ha sicuramente fatto più “rumore”, ma anche molti, troppi lavoratori invisibili arrivati da lontano.

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