Per lavorare i braccianti del XXI secolo si spostano più volte. La prima, quella della migrazione internazionale, con un viaggio lungo e insidioso che li sradica dalla loro terra per scaricarli, vite prive di identità e di diritti, in una terra a loro ignota che li reclama perché ha bisogno delle loro cure ma non li accoglie, e li relega in una condizione di paria dalla quale è faticoso, e non sempre possibile, emergere. L’ultima, ricorrente e di breve tragitto, li sparpaglia lungo strade secondarie per raggiungere i campi coltivati dove si consuma la loro giornata lavorativa di 10 e più ore per la misera paga di 3-4 euro l’ora, da dividere con intermediari spesso privi di scrupoli e non di rado malavitosi. Tra le due se ne inseriscono altre per inseguire il lavoro stagionale lungo direttrici nord-sud ed est-ovest nei trenta e passa distretti agricoli italiani.
Il lavoro sta sempre da un’altra parte, te lo devi andare a cercare sempre da un’altra parte. Ho fatto su e giù per andare a cercarlo, ho raccolto i frutti dorati degli alberi e dopo qualche settimana ero di nuovo per strada. Ti dobbiamo mandare via, mi dicevano, il lavoro adesso sta da un’altra parte e io mi mettevo per strada e andavo a cercarlo. Ho imparato che il lavoro sta sempre da un’altra parte e te lo devi andare a cercare e appena lo hai trovato non c’è già più, devi raccogliere i tuoi quattro stracci e andare da un’altra parte perché lì dov’eri non ti puoi più fermare perché non ti vogliono più. A un certo punto ho deciso. Mi sono detto: Non mi sposto più, sto qui e se il lavoro non c’è rimango lo stesso e se non mi vogliono resto lo stesso, anche se poi mi sparano addosso. (tratto da Nero di rabbia)
In tutti i casi se la mobilità è il paradigma, molteplici sono le dimensioni chiamate in causa: la gestione dei flussi migratori da parte dell’Unione Europea, il tipo di accoglienza dei migranti nel nostro Paese con riferimento agli aspetti giuridici, alle condizioni materiali di vita e di lavoro.
Tralasciamo in quest’articolo la dimensione internazionale (ripartizione dei flussi migratori tra i Paesi UE) e quella nazionale (questione dei permessi di soggiorno e della prima accoglienza; carenze strutturali del sistema di collocamento pubblico) per concentrarci soprattutto sulla dimensione locale che registra deficit strutturali ad ampio spettro.
In base ai dati forniti dall’INPS, i lavoratori dipendenti impiegati nelle campagne italiane superano 1 milione di addetti; di questi, l’11,4% sono stranieri residenti in Italia. I dati ufficiali, tuttavia, non fotografano la realtà effettiva, essendo noto e ampiamente documentato l’impiego di un gran numero di lavoratori irregolari, soprattutto migranti: il CENSIS nel 2019 li stimava intorno alle 220.000 unità, con tassi di incremento crescenti negli ultimi anni che agevolano la diffusione di posizioni lavorative non protette e si riflettono sul gap salariale tra lavoratori regolari e irregolari. Secondo le ultime analisi del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), in agricoltura, dato il salario orario regolare pari a 10 euro, quello corrisposto in media a un lavoratore dipendente irregolare è inferiore a 4 euro (per saperne di più).
La numerosa platea del lavoro stagionale, prevalentemente composta da manodopera immigrata con e senza permesso di soggiorno, è quella che maggiormente subisce le precarie condizioni di vita connesse alla mobilità sopra richiamata. Tale condizione è causata soprattutto dall’azione combinata delle seguenti cause: la carenza di alloggi, la mancanza di servizi pubblici di trasporto, la carenza di altri servizi igienici e di approvvigionamento alimentare, l’organizzazione del reclutamento e la difficoltà da parte delle amministrazioni locali di contrastare lo sfruttamento.
Nel grafico del Ministero del Lavoro, riportato qui sotto, una puntuale sintesi della situazione.