Anche nella nostra provincia il quadro è drammatico. Se è il lavoro degli immigrati a produrre il nostro cibo, quello stesso lavoro scompare dalla vista nella narrazione ufficiale. Le polemiche a Cuneo lo scorso anno traevano spunto proprio da qui.
Si chiamano lavoratori per la raccolta ma non ci si preoccupa di dove potranno dormire, lavarsi, riposare, mangiare. Siamo vigili rispetto ai nostri diritti ma volgiamo lo sguardo quando sotto i nostri occhi sfilano sfruttamento, caporalato, lavoro grigio e nero.
Sembra di risentire in un cupo sottofondo le parole di Max Frisch: “Cercavamo braccia, sono arrivati uomini”.
E sono proprio uomini quelli che vengono a lavorare per noi; non mettono in pericolo il nostro stare bene ma ne sono la condizione necessaria.
Quest’anno si è ancora in tempo. E’ importante che chi lavora abbia un posto dignitoso per vivere, che non sia costretto ad accamparsi o a dormire all’aperto. I datori di lavoro e le istituzioni devono fare la loro parte ma anche tutti noi siamo chiamati a recuperare la nostra umanità.
E’ necessario per tutti noi trovare il giusto mezzo fra xenofilia e xenofobia in quanto ambedue si nutrono di una visione gerarchizzata dell’umanità. Questa parte di umanità non è vittima del destino o di un fantomatico sistema ma è semplicemente utile al mondo ricco che, per massimizzare i profitti, ricorre ad una sorta di ” inclusione differenziale” che costruisce gerarchie all’interno degli stessi migranti e cerca , anche attraverso la creazione di illegalità funzionale, di controllare le migrazioni.
A queste donne ed a questi uomini viene negata la soggettività ridotti come sono, nella narrazione ufficiale, a vittime impotenti. La storia, quella dei “dannati della terra” ci racconta di ribellioni di lotte durissime fin dal tempo degli schiavi ( uno dei primi scioperi l’hanno fatto gli artigiani egiziani che lavoravano alle piramidi) e di conquiste importanti ma la storia ufficiale, quella che assegna a se stessa la lettera maiuscola, ignora queste vite e queste lotte.
Uno dei campi più controversi è quello del linguaggio. Le parole che usiamo rivelano la difficoltà nel nominare il fenomeno senza ricorrere a termini appesantiti dalla storia coloniale occidentale. Attraverso le parole passa il messaggio più subdolo e passa la “naturalizzazione” delle gerarchie che dividono il mondo. E’ tempo di aggiornare le analisi ed il linguaggio.
Dobbiamo smetterla con l’ipocrisia di chi costringe i lavoratori immigrati a condizioni di vita disumane per poi prendere questo a pretesto per disprezzarli.
I problemi di “ordine pubblico” si creano quando esseri umani sono costretti a vivere in modo disumano per produrre ricchezza per noi e questo è quanto è successo lo scorso anno e che non si deve più ripetere.