Humus Job ha steso un Disciplinare del Lavoro Sostenibile in agricoltura e strutturato un percorso per il rilascio di un marchio che attesti l’eticità delle aziende agricole che entrano a far parte della Rete ‘Humus’.
Perché?
Humus Job ha steso un Disciplinare del Lavoro Sostenibile in agricoltura e strutturato un percorso per il rilascio di un marchio che attesti l’eticità delle aziende agricole che entrano a far parte della Rete ‘Humus’.
Perché?
La certificazione etica nel comparto agricolo sembra non essere riuscita a raggiungere a oggi l’impatto sperato nonostante il suo utilizzo sia auspicato tanto dalle associazioni datoriali quanto dai sindacati dei lavoratori.
Una spinta che non arriva soltanto dai rappresentanti delle aziende agricole o dei lavoratori ma anche da parte dei consumatori.
Perché cresce la consapevolezza rispetto ai prodotti acquistati. C’è una sempre maggior volontà di utilizzare le proprie scelte di acquisto come strumento per contribuire a eliminare o ridurre aspetti disfunzionali delle filiere produttive: sempre più consumatori scelgono di avere una posizione attiva rispetto a povertà, sfruttamento di produttori e lavoratori e ambiente in senso costruttivo, ossia andando ad alimentare – attraverso i propri acquisti – filiere etiche, sostenibili a livello ambientale e sociale.
In risposta a questo crescente bisogno di eticità, in modo particolare nell’ultimo decennio, in occidente, si è assistito alla proliferazione di certificazioni – e norme per regolamentarle – sviluppate da imprese e fornitori dei paesi occidentali (per i consumatori occidentali).
Creando marchi, bollini, codici etici, si tenta di fornire una cornice per la trasparenza e la tracciabilità dei prodotti in termini di provenienza e modalità di produzione. Una cornice per rassicurare i consumatori su sicurezza alimentare, qualità, tracciabilità, impatto nutrizionale, benessere degli animali, rispetto dei diritti umani, degli standard di lavoro e impatto sull’ambiente e sulla società dei prodotti acquistati.
Ulteriore obiettivo delle certificazioni è quello di fornire agli acquirenti intermedi e al consumatore finale informazioni aggiuntive sul prodotto per sensibilizzare e accrescere la corresponsabilità attraverso un atto di acquisto.
Gli standard e i codici etici – spesso racchiusi in Disciplinari – sono regole o requisiti che devono essere soddisfatte al fine di raggiungere un determinato obiettivo: la possibilità di raggiungere particolari consumatori, l’accesso a uno specifico mercato, l’ottenimento di una certificazione e/o il rilascio di un marchio/etichetta.
I marchi – rappresentati attraverso etichette o bollini – diventano il segnale visibile dell’eticità di un prodotto, un segno di riconoscimento per il consumatore che può decidere di orientare il proprio acquisto verso un prodotto etico e che, dal bollino stesso, viene rassicurato riconoscendolo come garanzia che il prodotto scelto possiede determinati standard.
Le classiche certificazioni ISO o affini, che tanto si sono affermate nel settore manifatturiero e industriale, non sono funzionali all’agricoltura e quindi vengono sottoutilizzate dalle aziende. Altrettanto si è dimostrata di scarso impatto la sperimentazione legislativa della “Rete del lavoro agricolo di qualità”: introdotta a cavallo tra il 2015 e il 2016 su indicazione ministeriale e implementata dall’Inps, ha visto l’adesione di poche centinaia di aziende a livello nazionale, senza alcun riscontro sul mercato.
L’utilizzo di un approccio tradizionale di certificazione ha dunque palesato i suoi limiti.
Nonostante lo strumento delle certificazioni abbia dunque un’utilità potenziale indiscutibile, l’esperienza passata dimostra che spesso iniziative di creazione e utilizzo di bollini etici falliscono.
Da un’analisi di casi di studio esistenti in Italia (per saperne di più) e in altri paesi è possibile identificare alcune cause del fallimento delle certificazioni etiche del lavoro in agricoltura.
Innanzitutto, perché un marchio o un bollino etico abbiano successo – come è stato per quello biologico – è fondamentale che la domanda di eticità da parte del collettivo, ossia dei consumatori, sia forte e soprattutto realmente, consapevolmente, sentita.
Il pubblico, infatti, non è sempre pienamente cosciente dei problemi etici di una filiera agroalimentare, non tutti i tasselli sono chiari e l’informazione e la sensibilizzazione sono un prerequisito imprescindibile affinché i marchi o bollini abbiano successo.
Un altro elemento fondamentale è il vantaggio – reale o percepito – legato a un bollino perché una certificazione etica – come tutte le certificazioni di prodotto o di processo – generalmente comporta un costo, diretto o indiretto, per le imprese aderenti. Gli attori della filiera devono ponderare costi e benefici e spesso il mancato funzionamento dei bollini è proprio causato dalla scarsa adesione da parte delle aziende che dovrebbero essere certificate.
Banalmente (ma nemmeno così tanto), se un’azienda vuole il riconoscimento dell’eticità per la propria impresa deve dimostrarlo durante i controlli, deve assumere veramente in modo regolare, deve rispettare alcuni standard, deve cioè sostenere dei costi più elevati che non trovano un riscontro se, dall’altro lato della catena, non ci sono consumatori disposti ad acquistare i prodotti al giusto prezzo, se non ci sono evidenti vantaggi di adesione in termini di marketing, accorciamento della filiera per eliminare alcune rendite di ‘intermediazione’, accesso a mercati e/o canali di distribuzione più redditizi, ulteriori misure di supporto pubblico alle imprese etiche.
Un altro elemento importante da tenere in considerazione – e che fa il paio con quello appena descritto – è l’assenza o la carenza di meccanismi sanzionatori verso le pratiche non sostenibili dal punto di vista sociale che spesso sfociano nelle derive dello sfruttamento del lavoro di cui abbiamo ampiamente parlato in altri articoli.
Perché un’azienda dovrebbe sostenere costi più elevati, muoversi nell’incertezza di riuscire a vendere prodotti etici più cari all’interno di un mercato in cui regna una strana concorrenza “al doppio ribasso” e in un contesto in cui ai vantaggi dell’adesione non corrisponde – equamente – lo svantaggio dei costi della non adesione?
Un altro elemento interessante da considerare quando si analizza il “fallimento” delle certificazioni è l’importanza che queste diano un segnale chiaro, accurato, credibile.
Un bollino etico, infatti, è anzitutto un ‘segnale’ rivolto ai consumatori, un’etichetta parlante che racconta del rispetto di determinati comportamenti ‘etici’, una cornice che orienta le scelte.
E come per tutti i segnali è necessario che rispetti alcuni requisiti: chiarezza, ossia cosa si certifica esattamente con quel bollino; accuratezza, ossia quali procedure si certificano e come vengono effettuati controlli e monitoraggi; infine, la credibilità dell’ente che certifica, intesa come serietà di chi si fa portatore di un interesse collettivo da tutelare.
Molti dei bollini etici che non hanno funzionato, sono accomunati dall’indefinitezza, dalla genericità delle procedure, da uno scarso o vago dettaglio dei codici e delle regole.
A fronte degli insuccessi delle certificazioni etiche di cui abbiamo parlato, Humus Job ha deciso di adottare un processo di certificazione partecipato, che si ponga come strumento a disposizione delle aziende.
Si tratta di un Percorso di eticità, al termine del quale viene rilasciato il Marchio ‘Lavoro 100% Etico’: un segnale riconoscibile al consumatore finale come garanzia di sostenibilità sociale delle aziende agricole.
L’obiettivo principale non è la creazione di una certificazione fine a sé stessa, ma di uno strumento sperimentale che possa generare un impatto sensibile per le aziende, per la filiera e per il consumatore.
Il Percorso di eticità coinvolge le aziende e tutti i loro lavoratori in un processo di convergenza delle reciproche esigenze, partendo dall’assunto che non esistano colpevoli ma attori che possono fare delle scelte, più o meno libere e consapevoli.
Il lavoro grigio, così diffuso nelle campagne italiane, è figlio di interessi dei datori di lavoro, come dei lavoratori e dei consumatori.
Il Percorso di eticità di Humus Job affronta questo fenomeno strutturale con un occhio sistemico e integrato e offre ad aziende e lavoratori una serie di strumenti per poter ottenere il Marchio ‘Lavoro 100% Etico’.
In primis l’accesso al Contratto di Rete ‘Humus’: Humus Job è capofila di una rete d’impresa di aziende agricole che condivide e promuove una cultura del rispetto dei diritti umani e sociali, del lavoro etico e regolare, del benessere animale e dell’ambiente, elementi considerati patrimonio comune di tutti e di cui ciascuno deve prendersi cura.
L’offerta del Job Sharing e della condivisione di attrezzi di produzione e trasformazione: uno strumento collaborativo basato sulle formule del distacco e della codatorialità dei lavoratori, che consente alle aziende di condividere la manodopera per poter abbassare i costi di gestione, la prima; strumenti per ridurre e ottimizzare i costi di gestione aziendale per aumentare la sostenibilità economica e, a cascata, quella sociale, la seconda.
Ultimo ma non ultimo, l’accesso a canali commerciali etici, dove i prodotti marchiati eticamente possano trovare uno sbocco diretto: NaturaSì, AltroMercato e Alveare che dice Sì sono alcuni dei partners della Rete ‘Humus’.
Le aziende vengono coinvolte e controllate sulla base del Disciplinare del Lavoro Sostenibile in Agricoltura (puoi scaricarlo da qui), i cui criteri sono stati definiti dagli esperti di Humus Job insieme ad alcune aziende agricole della Provincia di Cuneo e a seguito di numerosi confronti e riflessioni con Cgil-Flai di Cuneo e con l’Associazione NoCap.
Si tratta di un Disciplinare che valuta l’operato delle aziende agricole sulla base di 4 assi principali: la regolarità e la dignità dei lavoratori impiegati dalle aziende; la formazione e la cultura dei diritti del lavoro; le reti e le collaborazioni delle aziende; la ricerca di una filiera locale e giusta.
La sottoscrizione di questo documento viene posta come conditio sine qua non per l’accesso all’interno del Contratto di Rete ‘Humus’.
Per ottenere il rilascio in concessione del Marchio ‘Lavoro 100% Etico’ è previsto un percorso finalizzato a verificare la corrispondenza dei requisiti di sostenibilità sociale sottoscritti nel Disciplinare e, parallelamente, a creare un dialogo tra azienda e Humus Job per trovare le soluzioni più adatte per migliorare le condizioni di eticità.
L’audit di certificazione si articola, infatti, in più fasi che prevedono una verifica documentale, un corso sui diritti del lavoro in agricoltura destinato alla manodopera, interviste ai lavoratori e controlli in campo.
La verifica documentale è finalizzata a monitorare che i lavoratori vengano assunti e pagati regolarmente e non ci siano lavoro grigio o lavoro nero; il corso sui diritti è fondamentale per accrescere la consapevolezza dei lavoratori rispetto ai propri diritti e doveri e per creare una base comune di senso per le interviste di monitoraggio successive; queste, insieme ai controlli random in campo, permettono di indagare le reali condizioni lavorative e incrociare tutti i dati raccolti nel corso del percorso di eticità.
Il buon esito dei diversi steps dell’audit consente il riconoscimento del Marchio ‘Lavoro 100% Etico’ e la licenza di utilizzo per un anno. Infatti, negli anni successivi al primo, il Marchio può essere confermato o revocato a seconda che continui a sussistere o meno la corrispondenza tra i requisiti e la condizione aziendale e l’impresa superi i controlli di monitoraggio.
Il Marchio ‘Lavoro 100% Etico’ di Humus Job è di proprietà della Humus s.r.l. e registrato in Italia presso il Ministero dello Sviluppo Economico, Ufficio Brevetti e Marchi.
Il Marchio è dunque concesso in licenza d’uso, con contratto privato e a cadenza annuale.
Il Percorso di eticità rientra all’interno di una strategia di azione di Humus Job in contrasto al lavoro nero, grigio e al caporalato.
E tra queste la Rete ‘Humus’, attraverso cui le aziende agricole possono promuovono se stesse e i propri prodotti sul mercato, attraverso formule specifiche di condivisione delle risorse, ne è l’asse portante.
E far parte della Rete ‘Humus’ significa per le aziende agricole e per Humus Job provare a costruire qualcosa che funzioni partendo dai 4 elementi analizzati in precedenza che, al contrario, hanno portato al fallimento di molte altre certificazioni etiche.
Significa, infatti, lavorare insieme ad aziende e lavoratori per sensibilizzare il consumatore e renderlo parte attiva della filiera agroalimentare.
Significa aumentare i vantaggi per le imprese riducendo alcuni costi – per esempio con il Job Sharing e attraverso la condivisione – lavorando sulla promozione dei prodotti etici e cercando canali commerciali che ne riconoscano il valore.
Significa comunicare all’esterno ciò che fa la Rete, il valore etico di ciascuna azienda aderente, le fatiche e le cose belle raggiunte insieme.
Facendo rete e creando connessioni con quanti operano nella direzione di un’agricoltura più giusta per tutte e tutti.
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